Da settimana Sport:
La partita MOLASSANA- RONCHESE è risultata una festa per la squadra di casa che si è confermata capolista vincendo 3 a 0, ma è stato anche l’incontro che ha visto per la prima volta convocato il 30enne Kader Danfakha, difensore centrale senegalese. Una convocazione che rappresenta qualcosa di più che una partita di calcio, è il lieto fine di una storia dura e commuovente.
Kadher, come è stata la tua prima convocazione? E’ stata emozionante e mi ha reso molto contento. Era tanto tempo che non giocavo una partita di campionato e ringrazio il Molassana di avermi dato questa opportunità.
Il Molassana per te è qualcosa di più che una società calcistica? Senz’altro; è per me una famiglia: ho trovato persone che mi vogliono bene e che mi hanno accolto a braccia aperte. Inoltre ho iniziato a lavorare qui come custode e questo mi ha fatto integrare ulteriormente nella società.
Prima di arrivare qui, però, hai affrontato una dura avventura, puoi raccontarla? Ho lasciato il Senegal, la mia terra, nel 2012 per arrivare in Italia nel 2014 e in questi due anni ho fatto tappa in vari paesi. Inizialmente mi sono diretto a Dubai perché una squadra di calcio della massima serie mi ha proposto una prova di sei mesi; purtroppo per motivi burocratici, la società non è riuscita ad acquistarmi. Mi sono quindi trasferito in Tunisia, dove sono rimasto un anno e mezzo. Nel frattempo ho ricevuto una seconda offerta da un’importante squadra egiziana ed è qui che ho incontrato i problemi maggiori: per raggiungere l’Egitto ho viaggiato su un pullman che partiva dalla Tunisia, passando attraverso la Libia. Proprio qui il viaggio si è interrotto in quanto le frontiere libiche erano chiuse a causa della guerra. La situazione era critica: le frontiere erano chiuse e non potevamo uscire dalla Libia. Per fortuna ho incontrato un amico che mi ha proposto una soluzione: attraversare il Mediterraneo per arrivare in Europa. Ero a conoscenza del grande rischio che il viaggio comportava, ma avrei fatto qualsiasi cosa pur di allontanarmi dalla guerra libica e così ho accettato. Del viaggio mi ricordo che ci hanno fatto imbarcare su un gommone e siamo partiti in piena notte; non ricordo quanto era grande l’imbarcazione ma eravamo tutti seduti l’uno vicino all’altro, molto stretti e c’era davvero tanta gente. Dopo dieci ore di viaggio ci ha recuperati la Marina Militare italiana che ci ha portato sulle coste siciliane.
Giunto in Italia qual è stato il tuo percorso? Appena sbarcati in Sicilia io e i miei compagni di viaggio siamo stati portati in pullman a Genova dove siamo stati accolti da una comunità. Ho ripreso anche a giocare a calcio con una squadra di compaesani in attesa di trovare una vera e propria società. Poi una sera, mentre giocavo una partita tra amici in un campo di Cornigliano, ho conosciuto un ragazzo italiano, figlio di un procuratore che mi ha portato al Molassana.
Quindi tutta la tua vita è stata improntata sul calcio? Esatto. Il calcio è la mia più grande passione. Ho iniziato a giocare in una scuola calcio in Senegal a sette anni e la mia passione è cresciuta guardando in televisione le partite di Baggio e Del Piero, che mi hanno anche fatto amare il calcio italiano e diventare un tifoso della Juventus!
Nel Molassana vuoi ringraziare qualcuno in particolare? Devo ringraziare tutti, non basta fare un nome. Un ringraziamento speciale lo devo al presidente Giovanni Franini che per me è come un padre. Un grazie di cuore va a tutto il Molassana, la mia famiglia italiana, che mi ha fatto ritrovare lo spirito di giocare a calcio.